Jerry Essan Masslo era un rifugiato sudafricano vittima del regime dell’apartheid cui era stato negato l’asilo politico al suo arrivo in Italia.
La sua morte violenta generò una grandissima emozione sia nel casertano sia in tutta Italia. Pochi giorni dopo, un grande sciopero di italiani e stranieri ebbe luogo proprio a Villa Literno; a Roma si ebbe la prima, imponente, manifestazione antirazzista nazionale. Soprattutto, la morte di Masslo indusse il governo guidato allora da Giulio Andreotti a varare una riforma delle norme che regolavano l’immigrazione e il diritto d’asilo: finalmente, con l’approvazione della legge 39/1990 (la Legge Martelli), venne eliminata la restrizione geografica che limitava – tranne rare eccezioni – la possibilità di chiedere asilo politico ai soli immigrati provenienti dal blocco sovietico.
Jerry Masslo era arrivato in Italia il 20 marzo del 1989. Attivista politico contro il regime razzista e segregazionista allora vigente in Sudafrica, decise di lasciare il paese dopo aver perso il padre e un figlio di appena 7 anni durante le proteste contro il governo. In quel periodo il governo sudafricano era sottoposto a durissime critiche e a un boicottaggio a livello internazionale per la violenza con cui la minoranza bianca al potere sopprimeva le proteste della maggioranza nera, le organizzazioni in difesa dei diritti umani, gli oppositori politici (il più importante dei quali, imprigionato per oltre 25 anni, era il futuro presidente Nelson Mandela).
Masslo arrivò a Fiumicino dalla Nigeria, dopo aver acquistato un biglietto aereo con gli ultimi beni in suo possesso. Appena atterrato in Italia chiese asilo ma questo, appunto, gli venne negato. Una lunga trafila burocratica lo vedrà bloccato per quattro settimane in aeroporto, impossibilitato ad uscire o a proseguire il suo viaggio. Grazie all’intervento di Amnesty International e dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), gli venne concesso di poter entrare in territorio italiano accolto dalla Comunità di Sant’Egidio di Roma. In quel momento era riconosciuto ufficialmente come rifugiato dall’ONU ma non dalla Repubblica Italiana, che gli concesse solo un permesso temporaneo che gli rendeva impossibile trovare una vera occupazione ed essere economicamente autonomo.
Le cronache del tempo raccontano di un uomo profondamente religioso, stupito dal clima di accoglienza e fratellanza trovato alla Comunità di Sant’Egidio, lontano anni luce dall’apartheid del suo paese natale.
A pochi mesi dall’arrivo, dopo aver trovato qualche sporadico lavoretto, decise di spostarsi verso le campagne dell’agro aversano, dove in estate già allora moltissimi migranti lavoravano come braccianti. Le loro condizioni di vita erano terribili: sfruttamento, pessime condizioni igienico sanitarie, razzismo diffuso. Diverse organizzazioni sindacali, cattoliche, di migranti provavano a contrastare la situazione e anche Masslo partecipava a queste rivendicazioni. Fino al giorno del suo omicidio.
Nella notte tra il 24 e il 25 agosto, una banda di pregiudicati locali fece irruzione nella baracca dove anche egli viveva per rapinare i migranti. I criminali non si aspettavano una reazione delle vittime, una fiera opposizione a vedersi privati delle poche lire guadagnate negli ultimi mesi. La situazione degenerò in fretta, alcuni colpi di pistola colpirono Jerry Masslo al petto, uccidendolo prima dell’arrivo dei soccorsi.
La notizia assunse immediatamente rilevanza nazionale riportata da tutte le reti nazionali, di cui alcuni notiziari riportano in apertura la notizia. Il 28 agosto si celebreranno addirittura funerali di stato, su richiesta della Cgil.
Il Tg2 trasmise in diretta la cerimonia funebre celebrata dal vescovo di Aversa Giovanni Gazza. Alla funzione parteciparono personalità politiche (tra cui il vicepresidente del consiglio Gianni De Michelis), rappresentanti dei sindacati, membri della comunità migranti del territorio, partiti, cittadini comuni.
Lo shock per la morte di Jerry Masslo non fu solo un fenomeno mediatico. Il 20 settembre il primo grande sciopero dei braccianti contro caporalato, razzismo e violenza paralizzò la raccolta in provincia di Caserta. Il 7 ottobre a Roma, si tenne la prima grande manifestazione nazionale contro il razzismo aperta da uno striscione con la scritta “Continente Italia”. Al corteo parteciparono migliaia di italiani e migranti di ogni nazionalità, oltre a numerose associazioni, sindacati, partiti e rappresentanze religiose: Cgil, Cisl, Uil, Acli, Arci, Lega Ambiente, Pci, Psi, Fgci, Verdi, Caritas, la comunità Valdese, le Chiese evangeliche, la Federazione delle comunità ebraiche e molte altre realtà. Scriverà nei suoi diari Bruno Trentin “ […] Ieri ho potuto risollevare il mio spirito – annotava nel suo diario Bruno Trentin, segretario generale della CGIL in quel periodo: “nel corso di una straordinaria manifestazione di lavoratori immigrati e di giovani, molti della Cgil, che rivelava un bisogno immenso di ritrovare valori comuni e una ragione di solidarietà”.
L’assassinio di Masslo scosse a tal punto società civile e politica che venne approvata la legge 39/1990. La Legge Martelli, dal nome del ministro promotore del provvedimento, costituì il primo tentativo di riforma organica dell’immigrazione, ridefinendo lo status di rifugiato (eliminando le clausole geografiche per le richieste d’asilo), introducendo la programmazione dei flussi di arrivo dall’estero, precisando le modalità di respingimento alla frontiera e di soggiorno nel Paese. Per la prima volta, anche a livello istituzionale si riconobbe l’Italia non più come solo paese di emigrazione ma di immigrazione.
In occasione del 31esimo anniversario dell’assassinio di Jerry Masslo, la CGIL di Caserta ha deciso di pubblicare sul proprio sito alcuni degli articoli di stampa pubblicati in quei drammatici giorni del 1989 e conservati nell’archivio storico della Camera del Lavoro di Caserta. Non solo quotidiani locali, come Il Mattino, ma anche testate nazionali (La Repubblica, Corriere della Sera, L’Unità, Il Manifesto, La Stampa) dedicarono alla morte di Masslo numerose pagine. Rileggere le parole dell’epoca, può aiutare a capire ciò che era l’Italia in quei giorni: un paese non abituato a parlare di migranti, di lavoratori stranieri, che prima di allora aveva deciso di ignorare il razzismo crescente tra i propri confini e che solo alla fine di quell’estate scoprì improvvisamente d’essere non solo terra di emigrazione ma anche di immigrazione.
Nel 1989 la Cgil di Caserta fu protagonista delle proteste e degli scioperi che seguirono la morte di Jerry Masslo. In 31 anni il ricordo di quell’evento non si è mai spento e viene rinnovato ogni anno, perché ricordare Jerry Masslo e la sua storia significa rinnovare l’impegno per far sì che la nostra sia ‘terra di lavoro e accoglienza’, significa battersi per restituire i diritti a migliaia di donne e uomini ogni giorni sfruttati e vittime del caporalato non solo nei campi ma in tutti i settori produttivi, significa rinnovare con forza la richiesta per la cancellazione dei decreti sicurezza.
La Cgil era in prima fila in quei tragici giorni del 1989 e ci sarà domani. Sempre dalla parte degli ultimi, perché legalità e dignità sono valori irrinunciabili..